Ci sono aziende che hanno paura dei lavoratori remoti. Non tanto delle persone in se, piuttosto della “nuova” modalità organizzativa.

Ci sono aziende che vedono il lavoratore remoto come un modo per risparmiare: ti lascio a casa, mi servono una scrivania in meno, meno corrente, meno riscaldamento, e meno affitto.

Ci sono aziende che considerano il lavoratore remoto una seconda scelta, un po’ come un capo d’abbigliamento con le cuciture venute male, roba outlet. E se ne dimenticano costantemente.

Ci sono aziende che vedono nel lavoratore remoto la possibilità di avere un talento al quale altrimenti non avrebbero accesso.

Ci sono aziende che vedono nel lavoratore remoto la possibilità di avere un piede in un paese diverso e in una time zone diversa.

Ci sono aziende che vendono nel lavoratore remoto la possibilità di portare una diversisty che altrimenti sarebbe molto più difficile avere.

L’errore

Non si può prendere una struttura aziendale così come è, e semplicemente spostare le persone in remoto o assumere persone da remoto. Soprattutto se si spera di ottenere i vantaggi di cui sopra.

L’unico risultato, se di risultato si può parlare, è che si portano a casa solo gli aspetti negativi. Come ad esempio i primi tre di cui sopra.

Ovvietà?

Questo significa molto semplicemente che l’intera struttura aziendale deve essere funzionale al lavoratore remoto. Sembra però che molte aziende si lancino nell’impresa di remotizzare le persone senza sapere cosa stanno facendo, sembra quasi per il mero gusto di farlo.

È fondamentale comprendere l’impatto sulla struttura aziendale, l’impatto sulle persone ma anche capire che ci sono persone che non funzionano da remoto e persone che funzionano molto meglio da remoto.

È un viaggio in cui, come al solito, l’esperienza è la parte più importante. È anche importante partire con la voglia di sperimentare, e di conseguenza con la consapevolezza che il fallimento è dietro l’angolo. Ma sappiamo bene, anche se non ce lo vogliamo dire, che per fare esperienza l’unica è sbagliare.