Ho sempre sostenuto che le licenze dei software purtroppo sono poco chiare se non incomprensibili per la maggior parte degli utenti e spesso anche per gli operatori del settore.
Diciamocelo chiaramente, in mezzo alla solita tiritera sopra il pulsante "accetto" è facile cambiare un paio di preposizioni e stravolgere il significato di un testo che, sulle prime, all'utente sembra il solito.
È per questo motivo che credo che BSA abbia fallito nel ruolo di difensore delle licenze in quanto non fornisce agli utenti gli strumenti per capire i reali confini scavati dalle licenze. Se non c'è chiarezza non ci può neanche essere il dovuto rispetto tantomeno contrastare quella autolegittimazione che molti utenti si attribuiscono nell'utilizzare in modo improprio il software.
L'autoleggitimazione è un sentimento, non un cavillo giudiziario che però fa un'immensa differenza in termini di pirateria. L'utente si può sentire giustificato ad utilizzare il software fuori dai confini della licenza se i termini non sono chiari fin dall'acquisto e purtroppo questo è oggettivamente vero per molte licenze.
Il panorama Open Source non è messo meglio. La GPL è probabilmente la licenza più violata dagli utenti e dagli operatori. Per dirla in modo (troppo) semplicistico la GPL è una licenza per software di cui sono disponibili tutti i sorgenti. Un lato meno conosciuto di questa licenza è che chiunque usi in una propria applicazione un software licenziato sotto GPL è obbligato a rilasciare la propria applicazione anch'essa sotto GPL e quindi rendere disponibili tutti i sorgenti pubblicamente. Conosco diversi casi di palese violazione. Ecco una delle tante pagine della vergogna: http://ffmpeg.org/shame.html
Per esempio il famoso database mySQL viene fornito con licenza GPL oppure con una licenza a pagamento. Sul loro forum un utente ha candidamente chiesto se usare mySQL in una applicazione implica rilasciare l'applicazione stessa sotto GPL. La risposta degli intervenuti (di mySQL) è sempre stata ambigua e alla fine non è riuscito ad avere i chiarimenti necessari.
Non stiamo parlando di domande complesse ma solo chiarezza su come utilizzare la licenza. Lo trovo totalmente assurdo.
Se passiamo alle licenze commerciali il caos regna ovunque: licenze per device, per processore, per utente, per gruppo di lavoro, per sviluppatore, per produzione, … ovviamente condite da una lunga serie di "ma", "se", "tranne", "nel caso in cui", e via così.
Se è questa la "educazione" che le software house vogliono fare verso gli utenti, si sbagliano di grosso.
Ora mi chiedo: perché un ente (per esempio BSA che si erge paladino dei produttori) non redige un numero (finito, come dicono i matematici) di licenze standard chiamandole con un nome o numero e obbliga le aziende che fanno parte di BSA ad utilizzare quelle tipologie?
Ovviamente in breve la cosa si potrebbe estendere a tutti i produttori software perché i vantaggi sarebbero evidenti:
- Le controversie giudiziarie sarebbero più semplici da controllare in presenza di una licenza 'standard' e le interpretazioni dei giudici sarebbero meno interpretabili.
- L'utente avrebbe davanti subito chiaro se è disposto ad usare una licenza "A1" invece di una "B2".
- Le aziende potrebbero redigere policy per permettere l'acquisto e l'uso di licenze purchè non siano di tipo "C" e "D" (mesi di meno per prendere una decisione sull'acquisto di un software).
- e via così …
Se qualcuno non ci vuole mettere mano allora comincio ad essere malizioso e pensare che tutto sommato la pirateria faccia comodo perché il prodotto si diffonde (ricordate Autocad negli anni 80?) e poi dopo che tutti sanno usare quel software e non ne possono fare a meno arriva "qualcuno" che ne obbliga l'acquisto. Bleah, che schifo.
E pensare che il mio mestiere è di produrre software e che siamo in azienda siamo ISV … no, non siamo masochisti, se il cliente è contento lo siamo anche noi.