Il web è morto?

Avrete senza dubbio notato anche voi un certo proliferare di articoli/post/tweet del tono di quello pubblicato sul sito Wired nei giorni scorsi. Il web è morto: un titolo eclatante per un ottimo articolo, ma che alle mie orecchie suona da contraltare a coloro che fino ieri fa vedevano nel web il futuro delle applicazioni, individuando in prodotti come Office Live o Google Documents i serial killer delle applicazioni desktop.

Il web oggi viene generalmente inteso come l’insieme dei contenuti che vengono presentati all’utente attraverso un programma chiamato web browser. Il web è fortemente legato al linguaggio HTML ed ad alcuni plug-in che permettono di superare le forti limitazioni dell’HTML.

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Le aziende negli anni passati hanno cominciato a comunicare con il web, inizialmente in un modo molto simile a quello che erano abituati a fare con i media cartacei, apprezzando principalmente l’economicità dello strumento più che l’effettivo ritorno che la comunicazione fatta sul web aveva sui loro interessi. Negli ultimi 10 anni le aziende hanno cercato di capire come l’investimento nel web poteva migliorare il loro business ed hanno cominciato ad avere bisogno di strumenti che gli permettessero di ottenere un feedback sull’effettiva efficacia della comunicazione che veniva fatta. Nascono perciò strumenti di analisi che tentano di profilare gli utilizzatori del web, ma questi strumenti hanno i loro limiti, proprio perché il browser è uno strumento generico, non è in grado di fornire informazioni, a volte anche ingenuamente, richieste dalle aziende: ad esempio l’indirizzo e-mail di tutti quelli che visitano il sito.

Avere informazioni veramente utili su chi sta consumando la loro comunicazione, è per le aziende determinante: nascono primi social network e il web 2.0 che promettono di individuare in modo preciso gli utenti, che per usufruire dei contenuti forniscono i loro dati personali. Oggi posso mirare un’inserzione su Facebook per fascia di età, sesso, per interessi, per area geografica: se decido di lanciare una campagna, posso decedere come mirare il mio investimento.

Il rovescio della medaglia è che le piattaforma dei un social-network sono limitanti, e le aziende non riescono a comunicare in modo efficace i loro messaggi: posso selezionare il target ma quello che posso fare sta tutto in una piccolissima foto con poche righe di testo, o al massimo un banner.

Contemporaneamente nasce un certo numero di utenti che non usano il tradizionale PC per navigare su internet ma un dispositivo mobile, che oltre alla posta elettronica ha la possibilità di navigare sul web. L’esperienza di navigazione da un dispositivo mobile però non è fantastica, e le aziende sono reticenti ad investire in comunicazione sul quel particolare mercato.

Per superare questo limite Apple si inventa le App, giocando sulle prime tre lettere del marchio aziendale e della parola Application: le App sono oggetti sui quali le aziende possono inserire i contenuti che ritengono più opportuni, nel limite delle specifiche imposte dal produttore.

Le App consentono da un lato di affrontare efficacemente la comunicazione nel mercato  mobile, dall’altro permettono di ottenere in modo chiaro, anche per l’utente, informazioni e dati personali degli utenti. Ad esempio iPasta, sostanzialmente un database di ricette regionali, permette al produttore di avere informazioni sulla geo-localizzazione degli utenti, sui loro gusti in fatto di “tipi” di pasta, permettendo quindi all’azienda che lanciare campagne in modo molto più efficace che sul web.

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Ma anche le App hanno il loro rovescio della medaglia: il primo è che la piattaforma di sviluppo è diversa per ogni sistema operativo. Per coprire tutto quel piccolo segmento, in espansione, che è il mercato mobile occorre realizzare App per ogni piattaforma. Un modello di business complesso, sulle quali le agenzie di comunicazioni non hanno molta esperienza e sul quale trovano difficoltà nel trovare un unico partner tecnologico che possa supportare direttamente tutte le piattaforme.

In conclusione il web, non solo non è morto, ma non è nemmeno pronto per la pensione! Certo dovrà evolversi negli standard, con la consapevolezza che non potrà mai raggiungere il livello di esperienza di un’applicazione ad hoc. HTML oggi ha molti limiti, molti dei quali saranno superati da HTML5. Se questo linguaggio saprà dare al Web le potenzialità che il mercato sta cercando io penso che le aziende vorranno ancora investire in questa piattaforma generalista ma che ha dalla sua la possibilità di poter offrire contenuti consumabili praticamente ovunque e da chiunque.

Update:
Dopo aver postato ho notato che Roberto Dadda ha postato una critica molto interessante all’aritcolo di Wired. Dadda elabora un’analisi diversa dalla mia, ma arriva alle stesse conclusioni.

Print | posted on domenica 22 agosto 2010 13:19

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