Una delle pratiche che si sta diffondendo, da un paio di anni a questa parte, è quella di installare su capi di abbigliamento o altra merci le cosiddette “etichette intelligenti”, ovvero dei minuscoli chip a microfrequenza ( Rfid - Radio Frequency Identification) attivati da lettori ottici.
Questi sistemi, che stanno trovando applicazione da parte delle aziende e degli esercizi pubblici della grande distribuzione, dovrebbero portare grossi vantaggi sia in termini di gestione, che celerità in operazioni commerciali, per non parlare dei vantaggi che si avrebbero nel controllo agli accessi nei luoghi riservati.
Ma tale tecnologia, capace di migliorare i processi produttivi, può anche costituire una macroscopica violazione della privacy del cittadino, apportando violazioni in tema di protezione dei dati personali e di controllo della singola libertà degli individui.
Infatti le “etichette intelligenti” potenzialmente sono capaci di raccogliere innumerevoli quantità di dati su abitudini e usi dei consumatori ed il loro utilizzo potrebbero consentire a terzi di tracciare i percorsi svolti dagli interessati, piuttosto che controllarne la posizione geografica o accertarsi di quali prodotti indossa o acquista. Insomma una inaccettabile violazione della privacy dei cittadini, quasi alla stregua dei microchip sottocutanei.
Inizialmente gli Rfid vennero portati alla ribalta e fortemente criticati dai mass-media, ma poi altrettanto repentinamente dimenticati, come troppo spesso succede, lasciando questo nuovo strumento tecnologico in balia di chi ne volesse far uso, in piena libertà e completa anarchia.
Ma a riportare alla ribalta questo fenomeno è stato il Garante della privacy che, un paio di mesi fa, ha impartito garanzie e prescrizioni sull’uso delle “etichette intelligenti” con l’emanazione di un documento, che vuole essere solo il primo passo, finalizzato a dettare delle regole su tale tema, nel rispetto del “Codice in materia di protezione dei dati personali”.
Informativa, libero consenso e possibilità per l’utente di disattivare il chip sono alla base di tale regolamentazione.
Il primo punto è considerato fondamentale per mettere a conoscenza dell’utilizzo di Rfid l’interessato, inoltre nei luoghi dove verranno disposti i lettori ottici dovranno essere affissi dei cartelli che avvisino dell’utilizzo di questi sistemi.
Un altro elemento fondamentale per l’utilizzo di “etichette intelligenti”, qualora si trattassero dati personali, è il consenso dell’interessato, come previsto dal D.Lgs 196/2003, salvo le relative eccezioni che nella stessa Legge sono previste. E’ palese che il consenso non debba essere ottenuto attraverso pressioni o condizionamenti sull’interessato.
Ultimo punto cruciale della regolamentazione si riferisce alla possibilità, che deve essere data, di disattivare, asportare o interrompere, al momento dell’acquisto, l’etichetta intelligente in modo facile, gratuita e senza essere costretti ad arrecare danno alla merce.
Sono così considerati illeciti i dispositivi Rfid destinati ad rimanere attive oltre, quella che il Garante definisce, la barriera-cassa.
La normativa richiama poi al principio di proporzionalità tra le finalità e l’uso di questa tecnologia. Inoltre l’autorità garante richiama l’attenzione alle misure di sicurezza e l’eventuale notificazione per particolari trattamenti che portano al controllo, o ricostruzione di profili, degli individui.
Pare infine rilevante notare come la normativa rigetti l’ammissibilità di microchip sottopelle, salvo particolari ed eccezionali casi di salute, e rimandi allo statuto dei lavoratori per chi volesse utilizzare sistemi Rfid nei luoghi di lavoro.
E’ evidente che questo intervento del Garante, per quanto lodevole, può essere considerato solo un brodino caldo nei confronti dell’ennesimo tentativo di limitare la privacy del cittadino nel nome di un progresso tecnologico, più rivolto all’interesse economico che non al benessere dell’individuo.
posted @ giovedì 30 giugno 2005 22:27