La matrice osservava da alcuni cicli di clock il piccolo
byte, che se ne stava acquattato nella
sua insignificante cella di memoria. La sua attenzione era attirata in modo
particolare dagli occhi del byte, che suggerivano
il fatto che fosse estremamente impaurito, quasi ansioso di andarsene da quel
maledetto posto. Compito della matrice era principalmente sorvegliare - ed era
proprio quello che stava facendo. Da diverso tempo, il byte stava causando qualche exception di troppo nel sistema, causando diversi
problemi che andavano assolutamente risolti, per non doverli affrontare più
tardi in forma più grave.
La matrice consultò in un istante il proprio log interno relativo a quella
cella di memoria, all'indirizzo 0x7700F4: il documento
digitale riportava tutte le operazioni di I/O nelle quali risultava
coinvolta, in un modo o nell'altro, proprio quella locazione. Notò subito
alcuni behavior del byte
che vennero marcati come sospetti dalla logica della matrice
stessa: quel byte aveva la strana tendenza a
frequentare spesso quella cella di memoria, il tempo di permanenza era sopra la
media. Inoltre, il byte non era così veloce a rispondere
alle richieste dell'OS come avrebbe dovuto. E poi - riflettè - quegli occhi così
impauriti. Perchè ha paura? Cosa prova? Non era abitudine della matrice
ragionare sul perchè delle cose, ma quello era evidentemente un caso
particolare, che forse meritava più attenzione.
Il byte tremava di paura. Si
guardava attorno, girandosi da una parte all'altra in modo frenetico,
aspettandosi di venir scoperto da un momento all'altro. Da molto più tempo di
quello che avrebbe mai immaginato, il byte viveva come
un fuorilegge, perennemente braccato ed in fuga dai security
processes che cercavano di intrappolarlo senza dargli tregua. Non
sapeva esattamente quale fosse la sua colpa. Sapeva solo che presto la partita
sarebbe terminata, nel bene o nel male. Deglutendo nervosamente uno dei suoi bit
- che si riformò immediatamente - il byte decise d'un
tratto di abbandonare la sua cella. Doveva assolutamente sapere se lei
era ancora lì. Si fece coraggio, si rialzò in piedi e si preparò ad abbadonare
il suo nascondiglio.
La matrice aveva appena fatto in tempo ad attivare un tracer su quel
range di address, che l'allarme suonò, richiamando l'attenzione dei
thread a basso livello. Essi vennero subito elevati di priorità e richiamati per
entrare in azione su quella particolare zona di memoria. Letali ed implacabili,
i security processes non avevano mai fallito e
di certo non volevano cominciare da adesso. Grazie al puntatore interno,
disponibile di default, scansionarono tutti i processi attivi e i potenziali
pericoli a cui era sottoposto il sistema: conoscevano perfettamente a cosa
andavano incontro, e sapevano come reagire di fronte a qualsiasi circostanza.
Era ora di affrontare il nemico.
Il byte uscì titubante dalla cella di memoria. Il bus sotto di lui
riluceva di una luce rossastra. La superficie era levigata, liscia, quasi
asettica: sembrava impossibile che ci passassero miliardi e miliardi e miliardi
di bytes ogni giorno, ma era così. Il byte non esiste
fisicamente, ma esiste, produce calore e produce calcolo computazionale. Fece il
primo passo per salire sul bus e lasciarsi andar via, quando qualcosa lo bloccò:
un rimbombo sordo e cupo che sembrava arrivare da qualche parte, lì vicino, lo
spaventò. Il byte non riuscì a localizzare esattamente
la direzione dalla quale proveniva quel suono. Cercò comunque di fuggire
mettendosi a correre e svoltando a sinistra, e poi a destra, al primo
angolo che incontrò. Il rimbombo era simile al rumore del tuono, e sembrava
essersi allontanato.
Il byte inizialmente sorrise,
credendo di farcela anche questa volta. Il sorriso gli sparì dal volto quando
d'improvviso vide davanti a sè - proprio davanti all'uscita della locazione di
memoria - la sua fine.
La matrice fu molto più veloce e giunse sul posto prima di tutti gli altri.
Intercettò il movimento del byte e lo raggiunse in una
cella poco lontano rispetto alla locazione iniziale.
"Sai che non ti posso lasciar andare, vero?"
- chiese in tono gentile la matrice.
"Io non ho fatto
nulla di male. Dimmi almeno il perchè!" -
rispose di rimando il byte.
"Sai
che non posso dirti nulla, perciò non fare domande. Hai sempre causato problemi,
fin dal momento dalla tua istanziazione, non posso permettere che tu te ne vada
in giro per il sistema."
Il byte non
seppe ribattere. Aveva avuto sempre paura di affrontare la matrice, ma adesso
che ce l'aveva davanti provava una calma innaturale. La matrice era logica. La
matrice era irremovibile. Forse - si disse - ho sempre sbagliato. Ma
lei? Come dimenticarsi di lei? Tutto questo l'ho fatto solo
per lei, come potersene dimenticare???
"Non è
mia abitudine chiedere perchè, ma da te voglio una risposta. E tu me la darai,
non è vero?".
Il byte rimase fermo ad
ascoltare, non riuscendo a capire totalmente cosa intendesse.
"Ne è valsa davvero la pena?" - chiese la matrice al
piccolo, insignificante byte di fronte a sè.
Il
byte, spiazzato, fissò i suoi occhi in quelli della
matrice e gli sorrise malinconicamente.
. . . . . . . .
Dopo aver dato alla matrice la sua risposta, il byte
chiuse gli occhi ed attese pazientemente il suo momento. Sapeva che da lì a poco
la matrice avrebbe fornito ai security processes
le sue coordinate, e di conseguenza sarebbe stato chiamato il metodo
Dispose sull'oggetto a cui il byte apparteneva. In
questo modo sarebbe stato deallocato. Non sarebbe morto - i bytes non muoiono
mai - ma non sarebbe esistito: niente e nessuno l'avrebbe raggiunto, in nessun
caso. Avrebbe dovuto attendere una nuova istanziazione - chissà quando - e con
ogni probabilità non si sarebbe più ricordato di questa esistenza.
Avrebbe
dimenticato per sempre lei.
Non avrebbe più avuto alcun
ricordo.
Trovava questa cosa intollerabile, al punto che - forse -
sarebbe stato più giusto ribellarsi.
La matrice, infine, calò la sua mano affondandola nel corpo virtuale
del byte.
E tutto ad un tratto fu
buio.