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martedì 13 settembre 2005

Cronaca semiseria di un concerto. Anzi, “del Concerto”

Erano quasi due anni che il Liga non appariva sul palco, o che non lanciava nuovi album. Ed ecco che all’improvviso: nuovo album; e megaconcerto. Duecentomila persone aspettate. Proprio tante. E noi eravamo nel numero, sissignore. Alcuni di noi al primo concerto: un bel battesimo di fuoco.

Pensando di fare i furbi avevamo deciso di prendere il treno delle 6.24, rinunciando pure all’ultimo sabato mattina di ronfate: poi sarebbe arrivata la scuola.

Partiti. E, un’ora e mezza dopo, arrivati.

E lì, capimmo che qualcosa non andava. Che non eravamo stati poi così furbi. Perché dalla stazione usciva un fiume di gente, tutti diretti verso un’unica meta: non c’era bisogno di seguire i cartelli.

Ai cancelli, il fiume sfociò nel mare di fan accampati laggiù probabilmente dalla sera prima.

8 di mattina, ed eccoci in coda. “Be’, per fortuna non piove, t’immagini se c’era il tempo di ieri, guarda non c’è neanche una nuvola!”

Alle 9 tutti stavano insultando pesantemente il poveretto, mentre gli ombrelli servivano da parasole, e la folla intorno stava assumendo dimensioni preoccupanti: in fondo mancavano 12 ore al concerto!

All’apertura dei cancelli il mare tornò torrente: e tutti a correre per arrivare vicini al palco; e accaparrarsi qualche metroquadro di erba bagnata per piazzarsi nell’attesa. E qui fummo fortunati, trovando un bel buco ad una settantina di metri dal palco principale: una manna.

Poi si aspettò. Verso mezzogiorno il campo dove eravamo assomigliava molto ad un girone dantesco: i volti madidi per il caldo, i corpi quasi ammucchiati per occupare lo spazio disponibile, il fumo di migliaia di sigarette che addensava l’aria, i ritardatari (quelli che, arrivati dopo le 9, il palco lo vedevano laggiù in fondo) che si aggiravano lenti cercando un posto inesistente calpestando tappetini zaini mani.

L’acqua cominciava a mancare, il caldo a soffocare. Per fare pipì si impiegava almeno un’ora tra andare e tornare. Avevamo dimenticato le carte da scala a casa. Un gruppo vicino a noi cantava da far pietà, e i dj ci interrompevano pure “Alice” di De Gregori prima che fosse finita. Un inferno.

Ma il paradiso stava arrivando, ragazzi! Prima pietose nuvole, poi i dj che lasciavano il posto ai cantanti, poi il tramonto. E l’inizio del concerto.

E chi come me fino ad allora era stato all’opera o a teatro, ha capito la differenza. E perché vale la pena di farsi 12 ore di attesa delle quali la metà in piedi, di pagare un biglietto che non ti assicura un bel posto, e di prepararsi ad una notte in piedi – letteralmente – ad aspettare il primo treno in coda alla stazione. Ad un concerto come quello del Liga, non vai per ascoltare, vai per cantare. Siete tu, il cantante, e le migliaia di persone come te, che cantano pure loro. Un grande coro che urla verso il cielo, e tutti cantano bene, e tutti sono fratelli, una grande famiglia che canta i propri dubbi, le proprie emozioni, le proprie idee con la voce del cantante.

Un gran casino, quasi un sogno. Anzi, ‘Sogni di rock’n’roll’.

 

Francesco:Limit!

 

posted @ lunedì 1 gennaio 0001 00:00 | Feedback (29) |

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