Erano quasi due anni che il Liga non appariva sul palco, o che non lanciava nuovi album. Ed ecco che all’improvviso: nuovo album; e megaconcerto. Duecentomila persone aspettate. Proprio tante. E noi eravamo nel numero, sissignore. Alcuni di noi al primo concerto: un bel battesimo di fuoco.
Pensando di fare i furbi avevamo deciso di prendere il treno delle 6.24, rinunciando pure all’ultimo sabato mattina di ronfate: poi sarebbe arrivata la scuola.
Partiti. E, un’ora e mezza dopo, arrivati.
E lì, capimmo che qualcosa non andava. Che non eravamo stati poi così furbi. Perché dalla stazione usciva un fiume di gente, tutti diretti verso un’unica meta: non c’era bisogno di seguire i cartelli.
Ai cancelli, il fiume sfociò nel mare di fan accampati laggiù probabilmente dalla sera prima.
8 di mattina, ed eccoci in coda. “Be’, per fortuna non piove, t’immagini se c’era il tempo di ieri, guarda non c’è neanche una nuvola!”
Alle 9 tutti stavano insultando pesantemente il poveretto, mentre gli ombrelli servivano da parasole, e la folla intorno stava assumendo dimensioni preoccupanti: in fondo mancavano 12 ore al concerto!
All’apertura dei cancelli il mare tornò torrente: e tutti a correre per arrivare vicini al palco; e accaparrarsi qualche metroquadro di erba bagnata per piazzarsi nell’attesa. E qui fummo fortunati, trovando un bel buco ad una settantina di metri dal palco principale: una manna.
Poi si aspettò. Verso mezzogiorno il campo dove eravamo assomigliava molto ad un girone dantesco: i volti madidi per il caldo, i corpi quasi ammucchiati per occupare lo spazio disponibile, il fumo di migliaia di sigarette che addensava l’aria, i ritardatari (quelli che, arrivati dopo le 9, il palco lo vedevano laggiù in fondo) che si aggiravano lenti cercando un posto inesistente calpestando tappetini zaini mani.
L’acqua cominciava a mancare, il caldo a soffocare. Per fare pipì si impiegava almeno un’ora tra andare e tornare. Avevamo dimenticato le carte da scala a casa. Un gruppo vicino a noi cantava da far pietà, e i dj ci interrompevano pure “Alice” di De Gregori prima che fosse finita. Un inferno.
Ma il paradiso stava arrivando, ragazzi! Prima pietose nuvole, poi i dj che lasciavano il posto ai cantanti, poi il tramonto. E l’inizio del concerto.
E chi come me fino ad allora era stato all’opera o a teatro, ha capito la differenza. E perché vale la pena di farsi 12 ore di attesa delle quali la metà in piedi, di pagare un biglietto che non ti assicura un bel posto, e di prepararsi ad una notte in piedi – letteralmente – ad aspettare il primo treno in coda alla stazione. Ad un concerto come quello del Liga, non vai per ascoltare, vai per cantare. Siete tu, il cantante, e le migliaia di persone come te, che cantano pure loro. Un grande coro che urla verso il cielo, e tutti cantano bene, e tutti sono fratelli, una grande famiglia che canta i propri dubbi, le proprie emozioni, le proprie idee con la voce del cantante.
Un gran casino, quasi un sogno. Anzi, ‘Sogni di rock’n’roll’.
Francesco:Limit!
Un paio di curiosità storiche veramente interessanti ;)
- L'arrivo del termine 'bug' nell'informatica, veramente spassoso! http://americanhistory.si.edu/collections/comphist/objects/bug.htm
- L'origine del nome della tecnologia bluetooth, da BBC news:
Viking vision
The technology is named after King Harald Bluetooth who, unlike most other Vikings, preferred talking to fighting.
His diplomatic reign unified the nations of Denmark and Norway, which he then ruled from 940-981.
He got his name Bluetooth because he liked blueberries so much that they stained his teeth.
Even the trademark for the group reflects these origins. It is made up of the two runic characters "H" and "B".
It also reflects the Scandinavian origins of two of the founding companies, Ericsson and Nokia.
Alla prossima!
Francesco:Limit!