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  • Questo blog si propone di raccogliere riflessioni, teoriche e pratiche, su tutto quello che riguarda il world-computing che mi sta attorno: programmazione in .NET, software attuale e futuro, notizie provenienti dal web, tecnologia in generale, open-source.

    L'idea è quella di lasciare una sorta di patrimonio personale, una raccolta di idee che un giorno potrebbe farmi sorridere, al pensiero di dov'ero e cosa stavo facendo.

    10/05/2005,
    Milano

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[Parte.1] Il byte alla ricerca della felicità

Erano passati 5,53E+10 cicli di clock da quando il sistema era stato avviato l'ultima volta: nonostante l'elevato numero, in realtà l'OS era ancora in fase iniziale di boot. Tutto è relativo, però. I Creatori nell'Aldilà avrebbero misurato lo stesso intervallo in circa 30 secondi, un numero molto piccolo, considerando il tempo che intercorre tra la creazione di una nuova istanza di Human ed il suo corrispondente finalizer. Il boot procedeva regolarmente: il bootstrap era avvenuto con successo, le componenti primarie del kernel stavano caricando i driver dell'hardware, inizializzando di conseguenza tutte le periferiche che avrebbero permesso, tra qualche istante, di poter cedere il controllo alla UI.

Il byte, che non era coinvolto in queste fasi iniziali di vita del sistema, stava riflettendo su se stesso. Tutto sommato - si diceva da un po' di tempo - quella vita non gli dispiaceva: aveva un buon lavoro, l'OS molto spesso lo convocava per qualche task speciale, aveva girato in lungo ed in largo il sistema, dal core vicino alla CPU, fino alle porte di I/O più remote, aveva preso parte ad algoritmi più o meno complessi, era stato persistito su HD ed era stato reindirizzato sul dispositivo di output.
"Cosa volere di più?" - si chiedeva ultimamente il byte.

Lui si sentiva solo. Sempre più solo. Quello era il problema. Nonostante avesse conosciuto una quantità infinita di altri bytes, di byte[], di altre strutture di memorie più complesse, lui passava gran parte dei suoi cicli di clock sempre solo. Cominciava a percepire il peso di quella situazione, non gli piaceva molto. Pensò - con un po' di invidia - agli array, che per loro natura vivevano contigui in memoria, tutti felici di condividere qualcosa fra di loro. Pensò anche ad altri tipi di oggetti, come le LinkedList - di cui aveva sentito solo parlare - che, sebbene fossero diverse dagli array, avevano comunque la capacità di mantenere vivo un legame tra un elemento e l'altro della lista.

Il byte sospirò, un po' intristito dalla sua condizione. Ma non ebbe tempo di abbattersi più di tanto: un processo di sistema richiese la sua presenza in un'altra cella di memoria RAM, il cui address era appena passato ai suoi piedi sul bus di indirizzamento a 32 bit. Il byte saltò in un lampo sul bus dati e presto si allineò con lo stream che lo precedeva, mantenendo il passo tramite l'ausilio del clock a 2,21GHz che - come al solito - sincronizzava qualsiasi operazione.
Fu allora che li vide, provocandogli una fitta allo stomaco.

Il byte in quel momento non seppe dire con esattezza se c'erano sempre stati e lui non li aveva mai notati, oppure semplicemente oggi era più predisposto rispetto ad altre sessioni di lavoro.
Mentre correva veloce sul bus dati, vedeva byte[2] che si tenevano per mano o abbracciati, vedeva davanti a lui intere collection che formavano lunghe file nello stream, vedeva anche LinkedList di soli 2 oggetti che - sebbene fossero fisicamente lontani - formavano chiaramente un forte legame fra loro. Il byte li guardò ammirato e provò un senso di desiderio come non l'aveva mai provato prima.
Il byte non potè non riflettere su quanto gli stava accadendo.

"Vivo in un sistema con 1Gb di RAM, eppure sono solo. Ci sono milioni e milioni di celle di memoria, in cui si trovano altri bytes come me, nella mia stessa situazione, con cui potrei condividere parte della mia vita, le mie emozioni e le mie esperienze. Vorrei una costante nella mia vita, vorrei trovare un byte con cui trascorrere il mio tempo, con cui essere persistito per sempre. Per sorridere, per gioire, per superare le difficoltà, per crescere e diventare un byte migliore.
Per dare un senso, uno scopo alla mia esistenza di semplice byte.
Non ho diritto anche io ad un po' di felicità come gli altri?
"

Quando arrivò nella cella di memoria di destinazione, il byte si fermò e guardò fuori, osservando con attenzione la zona di memoria in cui si trovava. Come di consueto, vide uno stretto canyon scuro, le cui alte pareti nere sui lati erano costellate da piccole celle che luccivano e brillavano in base al valore del byte contenuto. Le celle erano infinite - gli pareva - una moltitudine, tutte diverse fra loro, ed in qualche modo avevano un aspetto che definiva interessante.

Fu in quel momento che il byte capì che - continuando su quella strada - la sua vita avrebbe preso una brutta piega. Così decise: avrebbe visitato tutte quelle celle colorate, per conoscere nuovi bytes, per darsi da fare e non essere passivo. Sapeva che avrebbe corso dei grossi rischi: un byte non se ne può andare in giro per il sistema come vuole lui. Ma al byte non gliene importava di nulla, non gli importava di blue-screen, di crash di sistema e di CRC failed e di chissà quali altri danni avrebbe provocato all'OS.

Voleva solo la sua felicità, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per averla.
Il byte sorrise, e mise un piede fuori dalla sua cella per realizzare il suo piccolo grande sogno.

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Print | posted on lunedì 13 marzo 2006 13:14 | Filed Under [ 010 .bytes. 010 ]

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# 1

13/03/2006 13:19 | Technology Experience
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# re: [Parte.1] Il byte alla ricerca della felicità

E' che ci sono i diritti di copyright, se nò già ti ci avrei pubblicato un libro.
ROTFLIssimo, però permettimi un appunto... togli la concetrazione a chi cerca di lavorare :P

Dopo aver letto prima di ristabilire i neuroni del cervello e rimetterli in linea sulla sinapsi ci passano 15 minuti e 3/4 di secondo.

Ciao
14/03/2006 02:13 | Andrea
Comments have been closed on this topic.

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