Erano passati 5,53E+10 cicli di clock da quando il sistema era
stato avviato l'ultima volta: nonostante l'elevato numero, in realtà l'OS era
ancora in fase iniziale di boot. Tutto è relativo, però. I Creatori
nell'Aldilà avrebbero misurato lo stesso intervallo in circa 30 secondi,
un numero molto piccolo, considerando il tempo che
intercorre tra la creazione di una nuova istanza di Human ed il
suo corrispondente finalizer. Il boot procedeva regolarmente: il
bootstrap era avvenuto con successo, le componenti primarie del kernel stavano
caricando i driver dell'hardware, inizializzando di conseguenza tutte le
periferiche che avrebbero permesso, tra qualche istante, di poter cedere il
controllo alla UI.
Il byte, che non era coinvolto in queste fasi iniziali
di vita del sistema, stava riflettendo su se stesso. Tutto sommato - si diceva
da un po' di tempo - quella vita non gli dispiaceva: aveva un buon lavoro,
l'OS molto spesso lo convocava per qualche task speciale, aveva girato in
lungo ed in largo il sistema, dal core vicino alla CPU, fino alle porte di I/O
più remote, aveva preso parte ad algoritmi più o meno complessi, era stato
persistito su HD ed era stato reindirizzato sul dispositivo di output.
"Cosa
volere di più?" - si chiedeva ultimamente il byte.
Lui si sentiva solo. Sempre
più solo. Quello era il problema. Nonostante avesse
conosciuto una quantità infinita di altri bytes, di byte[], di altre strutture di
memorie più complesse, lui passava gran parte dei suoi cicli di clock sempre
solo. Cominciava a percepire il peso di quella situazione, non gli piaceva
molto. Pensò - con un po' di invidia - agli array, che per loro
natura vivevano contigui in memoria, tutti felici di condividere qualcosa
fra di loro. Pensò anche ad altri tipi di oggetti, come le LinkedList - di
cui aveva sentito solo parlare - che, sebbene fossero diverse dagli array,
avevano comunque la capacità di mantenere vivo un legame tra un elemento e
l'altro della lista.
Il byte sospirò, un po' intristito dalla sua condizione. Ma non ebbe tempo
di abbattersi più di tanto: un processo di sistema richiese la sua
presenza in un'altra cella di memoria RAM, il cui address era appena passato ai
suoi piedi sul bus di indirizzamento a 32 bit. Il byte saltò in un lampo
sul bus dati e presto si allineò con lo stream che lo precedeva, mantenendo
il passo tramite l'ausilio del clock a 2,21GHz che - come al solito -
sincronizzava qualsiasi operazione.
Fu allora che li
vide, provocandogli una fitta allo stomaco.
Il byte in quel momento non seppe dire con esattezza se c'erano sempre
stati e lui non li aveva mai notati, oppure semplicemente oggi era più
predisposto rispetto ad altre sessioni di lavoro.
Mentre correva veloce sul bus dati, vedeva byte[2]
che si tenevano per mano o abbracciati, vedeva davanti a lui intere collection
che formavano lunghe file nello stream, vedeva anche LinkedList di soli 2
oggetti che - sebbene fossero fisicamente lontani - formavano chiaramente
un forte legame fra loro. Il byte li guardò ammirato e provò un senso di
desiderio come non l'aveva mai provato prima.
Il
byte non potè non riflettere su quanto gli stava accadendo.
"Vivo in un sistema con 1Gb di RAM, eppure sono
solo. Ci sono milioni e milioni di celle di memoria, in cui si trovano altri
bytes come me, nella mia stessa situazione, con cui potrei condividere parte
della mia vita, le mie emozioni e le mie esperienze. Vorrei una costante
nella mia vita, vorrei trovare un byte con cui trascorrere il mio tempo, con cui
essere persistito per sempre. Per sorridere, per gioire, per superare le
difficoltà, per crescere e diventare un byte migliore.
Per dare un senso, uno
scopo alla mia esistenza di semplice byte.
Non ho diritto anche io ad un po'
di felicità come gli altri?"
Quando arrivò nella cella di memoria di destinazione, il byte si fermò e
guardò fuori, osservando con attenzione la zona di memoria in cui si
trovava. Come di consueto, vide uno stretto canyon scuro, le cui alte
pareti nere sui lati erano costellate da piccole celle che luccivano e
brillavano in base al valore del byte contenuto. Le celle erano infinite - gli
pareva - una moltitudine, tutte diverse fra loro, ed in qualche modo avevano un
aspetto che definiva interessante.
Fu in quel momento che il byte capì che - continuando su quella strada - la
sua vita avrebbe preso una brutta piega. Così decise: avrebbe visitato tutte quelle celle
colorate, per conoscere nuovi bytes, per darsi da fare e non
essere passivo. Sapeva che avrebbe corso dei grossi rischi: un byte non se ne
può andare in giro per il sistema come vuole lui. Ma al byte non gliene
importava di nulla, non gli importava di blue-screen, di crash di
sistema e di CRC failed e di
chissà quali altri danni avrebbe provocato all'OS.
Voleva solo la sua felicità, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per averla.
Il
byte sorrise, e mise un piede fuori dalla sua cella per realizzare il suo
piccolo grande sogno.